24 dicembre 2008
Ecco un video divertente di Babbo Natale alle prese con un bambino esigente:
BUON NATALE A TUTTI !!
11 dicembre 2008
Gli AC/DC nacquero nel 1973 in Australia, tra i fondatori della band devono essere annoverati i due storici chitarristi di origine scozzese, i fratelli Angus e Malcom Young. Fu proprio la sorella di questi ad ideare il nome AC/DC traendo ispirazione da una scritta presente in un elettrodomestico.
L’incontro tra i fratelli Young ed il cantante Bon Scott, anch’egli di origine scozzese, avvenne in seguito e fu del tutto casuale.
I fratelli Young, infatti, non erano soddisfatti del loro cantante Dave Evans e stavano cercando un sostituto. Così, Scott, che aveva già avuto esperienze in altri gruppi rock e che in quel periodo stava lavorando come autista di autobus per gli stessi AC/DC, si propose come cantante del gruppo e ne ottenne il ruolo.
I fratelli Young, infatti, non erano soddisfatti del loro cantante Dave Evans e stavano cercando un sostituto. Così, Scott, che aveva già avuto esperienze in altri gruppi rock e che in quel periodo stava lavorando come autista di autobus per gli stessi AC/DC, si propose come cantante del gruppo e ne ottenne il ruolo.
Nel 1976 gli AC/DC parteciparono in qualità di supporto dei Kiss, degli Aerosmith e dei Blue Öyster Cult durante i tour nel Regno Unito e in Europa .
Nel 1979, con l’uscita dell’album “Highway to Hell”, gli AC/DC ottennero il primo grande successo internazionale, entrando nella top ten inglese e nella top 20 americana. Mentre, la canzone “Highway to Hell” da cui ricevette il nome l’album, entrerà in seguito tra le 500 canzoni più importanti della storia del rock secondo Rock and Roll Hall of Fame.
Il 19 febbraio 1980, nel pieno del loro successo, gli AC/DC subiranno, però, una tragica perdita.
Dopo una serata trascorsa abusando di alcol, il cantante Bon Scott si addormentò all’interno dell’automobile di un amico, dove passò sdraiato le quindici ore successive. Quando Bon Scott arrivò all’ospedale di King's College a Londra era già deceduto.
Secondo il verdetto medico si trattò di intossicazione acuta da alcol, altri sostennero invece che si fosse trattato di soffocamento dovuto al suo stesso vomito.
A questo punto, si prospettava lo scioglimento della band, ma, Angus e Malcom si fecero forza, decisero di provare nuovo materiale e di cercare nel frattempo un nuovo cantante.
La ricerca, però, non si rivelò facile: diversi cantanti rifiutarono l’offerta del gruppo, altri, invece, non vennero ritenuti all’altezza.
La scelta alla fine ricadde su Brian Johnson, del quale il gruppo era venuto a conoscenza grazie ad una segnalazione pervenuta da un fan.
Se con la tragica morte di Scott per gli AC/DC si concluse un’era caratterizzata dall'appena acquisita notorietà mondiale, con l’arrivo di Johnson ne cominciò un’altra, durante la quale gli AC/DC hanno saputo costruire, sulle fondamenta poste in precedenza, una serie di grandissimi successi.
Il 25 luglio 1980, infatti, uscì l’album “Back in Black”, dedicato al cantante scomparso, mentre nell’autunno dell’anno successivo fu la volta di “For Those About to Rock” (“We Salute You”).
Se “Back in Black” fu l’album che consegnò gli AC/DC alla storia del rock e probabilmente il loro miglior lavoro, “For Those About to Rock” (“We Salute You”) fu, invece, l’album che portò per la prima volta la band in vetta alla classifica americana e che li rese il gruppo rock più popolare del mondo.
Gli anni successivi furono caratterizzati invece da un’alternanza di alti e bassi, che si concluse nel 1990, quando, con il disco “The Razors Edge”, arrivò un altro strepitoso successo.
Il 17 ottobre 2008, dopo le uscite di “Ballbreaker” (1995) e di “Stiff Upper Lip” (2000) (un album dai ritmi e dalle sonorità molto vicine al blues), è stata la volta di un’altra attesissima uscita, quella del disco “Black Ice”, che ha proiettato gli AC/DC al primo posto nelle classifiche di 29 Paesi (per la prima volta anche in Italia). Il disco è stato commercializzato per l’occasione in quattro versioni, tre delle quali differiscono per la copertina, che può avere il logo rosso, giallo o grigio, ed una quarta variante ad edizione limitata, che contiene un booklet aggiuntivo di 30 pagine, la cui copertina è contraddistinta dal logo blu.
In quest’ultimo periodo, la febbre per la band australiana/britannica è salita alle stelle; basti pensare che il concerto previsto per il 19 marzo 2009 al Datchforum di Assago (Milano) ha registrato il tutto esaurito in soli 50 minuti (una media di 200 biglietti venduti ogni minuto).
Per tale motivo è stata fissata una replica per il 21 marzo, ovviamente, anche quest’ultima ha fatto registrare il tutto esaurito nell’arco di brevissimo tempo.
Gli album degli AC/DC hanno venduto oltre 200 milioni di copie in tutto il mondo, 71 milioni nei soli USA.
Tra questi va segnalato ovviamente “Back in Black”, che, con circa 43 milioni di copie vendute in tutto il mondo, 22 milioni delle quali negli USA, è ritenuto il secondo disco più venduto di sempre ed il primo per un gruppo rock. Mentre, per “Black Ice”, che si prevede possa raggiungere le 10 milioni di copie entro la fine dell’anno, alcuni prospettano un successo pari a quello ottenuto da “The Razors Edge” o dallo stesso “Back in Black”. (fonti: Wikipedia, AC-DC Italia e TgCom)
Di seguito vi propongo i video di alcune canzoni degli AC/DC:
Video di Higway to Hell (con Bon Scott)
Video di Back in Black, anch'essa entrata tra le 500 canzoni più importanti della storia del rock secondo Rock and Roll Hall of Fame
Video di Rock 'N Roll Train (Black Ice)
Video di Higway to Hell (con Bon Scott)
Video di Back in Black, anch'essa entrata tra le 500 canzoni più importanti della storia del rock secondo Rock and Roll Hall of Fame
Video di Rock 'N Roll Train (Black Ice)
9 novembre 2008
Le attività criminali legate alle clonazione dei bancomat, purtroppo, sono parecchio diffuse. I mezzi di comunicazione ci informano spesso della presenza di bande criminali che attuano questo genere di truffe, ma, altrettanto spesso sono i nostri stessi conoscenti a raccontarci la propria esperienza negativa.
Dato che queste attività criminali ci colpiscono sempre più da vicino, diventa importante conoscere bene tale fenomeno, sia per evitare di incappare in situazioni a dir poco spiacevoli sia per sapere come muoversi nell’eventualità finissimo con l’esserne vittime.
Innanzitutto, le tecniche adottate per compiere questo genere di frodi sono molteplici.
Ad esempio, una di queste tecniche è il “Lebanese Loop”. In questo caso, il criminale applica sullo sportello bancomat un dispositivo che impedisce la restituzione della carta al suo proprietario.
Quando quest’ultimo si troverà per ovvie ragioni in difficoltà, interviene nuovamente il criminale che, fingendo di prestargli aiuto, lo inviterà a digitare nuovamente il codice pin. A questo punto, il finto soccorritore potrà memorizzare mentalmente il codice, e, appena la vittima si sarà allontanata, potrà estrarre la carta per riutilizzarla.
Un altro metodo, ancora più diffuso, è lo “Skimming” (strisciata) su sportelli automatici (ATM). Esso consiste nell’applicazione da parte del criminale di uno skimmer, un dispositivo in grado di immagazzinare i dati contenuti nella banda magnetica della carta. Quando il cliente della banca digita il codice della propria carta, questo viene recuperato solitamente dai malfattori attraverso una micro telecamera nascosta o camuffata grazie all’ausilio di vari oggetti. In altri casi, invece, il codice PIN, viene recuperato dai criminali attraverso una seconda tastiera posta sopra quella originale dello sportello bancomat. Ovviamente, la banda criminale acquisisce in tal modo tutti i dati necessari a clonare e ad utilizzare la carta bancomat o la carta di credito.
Proprio per evitare che dei malfattori possano impossessarsi del PIN attraverso tastiera, molti sportelli bancomat, per fortuna, sono stati attrezzati di pin-pad sicuri.
Oltre alle minacce attuali, però, si prospettano anche delle insidie future.
Infatti, si stanno sviluppando anche delle nuove tecniche criminali legate all’informatica e volte a sfruttare gli eventuali “bug” dei sistemi operativi installati sugli sportelli automatici. Questo genere di attacchi possono essere comunque fermati grazie all'ausilio dei firewall (fonte: Dipartimento di Informatica e Applicazioni - Università di Salerno).
Mentre, secondo un'assai poco rincuorante ricerca, svolta presso l’Università di Cambridge in Gran Bretagna, sarebbe possibile, attraverso un particolare logaritmo, trovare un codice pin dopo soli quindici tentavi anziché dopo i cinquemila teoricamente necessari! (fonte: La Stampa)
Tutto ciò, mi fa pensare che le banche dovranno realizzare in futuro sistemi sempre più complessi e sofisticati al fine di garantire la nostra sicurezza.
Come possiamo difenderci da queste truffe?
Ovviamente, dobbiamo sempre guardarci attorno, diffidando anche di chi si avvicina mentre siamo allo sportello del bancomat, dobbiamo sempre controllare che non vi siano delle anomalie sulle apparecchiature dello sportello, dobbiamo sempre nascondere con l’altra mano la tastiera su cui digitiamo il codice pin, possiamo richiedere eventuali servizi di notifica via sms dei nostri movimenti (sms alert), ma, cosa più importante, dobbiamo controllare quotidianamente il nostro conto corrente.
Cosa dobbiamo fare nel caso in cui riteniamo di esser stati truffati?
Innanzitutto, dobbiamo bloccare la carta attraverso la nostra banca o rivolgendoci direttamente al numero verde del circuito bancomat, annotando la data, l'ora, il nome della persona del servizio clienti con la quale si è stati in contatto e l'eventuale codice di blocco.
Dopo aver informato la nostra banca dell’accaduto, dobbiamo ottenere, tramite questa o l’internet banking, una lista dei movimenti, che ci permetterà così di individuare l’ora, l’importo e, se possibile, il luogo in cui sono state effettuate le operazioni fraudolente. Ovviamente, la nostra carta bancomat, nonostante sia stata bloccata, continua a mantere un ruolo decisivo anche nei passaggi successivi, in quanto serve a dimostrare che non l’abbiamo smarrita e che l’abbiamo usata e conservata in modo corretto.
A questo punto, dobbiamo rivolgerci alle forze dell’ordine (polizia o carabinieri) per sporgere una denuncia penale relativa alla clonazione della nostra carta e al disconoscimento delle operazioni fraudolente, e, farci rilasciare poi una copia della denuncia stessa.
Infine, dobbiamo presentarci presso la banca con la copia della nostra denuncia e compilare i moduli necessari ad ottenere il rimborso che ci è dovuto. (fonti: La Stampa, forum Adusbef)
Riguardo quest’ultimo passaggio, in teoria dovrebbe occuparsene la nostra banca, ma, ci sono anche delle banche che richiedono che la richiesta di blocco della carta bancomat venga confermata tramite raccomandata con ricevuta di ritorno entro due giorni lavorativi, allegando ad essa una copia della denuncia.
Spero che le informazioni contenute in questo articolo siano state utili a voi perlomeno quanto lo sono state a me che le ho raccolte. Nel caso in cui vi fossero delle ulteriori puntualizzazioni da fare o vi fossero delle imprecisioni, potete lasciare un commento indicando la fonte.
Dato che queste attività criminali ci colpiscono sempre più da vicino, diventa importante conoscere bene tale fenomeno, sia per evitare di incappare in situazioni a dir poco spiacevoli sia per sapere come muoversi nell’eventualità finissimo con l’esserne vittime.
Innanzitutto, le tecniche adottate per compiere questo genere di frodi sono molteplici.
Ad esempio, una di queste tecniche è il “Lebanese Loop”. In questo caso, il criminale applica sullo sportello bancomat un dispositivo che impedisce la restituzione della carta al suo proprietario.
Quando quest’ultimo si troverà per ovvie ragioni in difficoltà, interviene nuovamente il criminale che, fingendo di prestargli aiuto, lo inviterà a digitare nuovamente il codice pin. A questo punto, il finto soccorritore potrà memorizzare mentalmente il codice, e, appena la vittima si sarà allontanata, potrà estrarre la carta per riutilizzarla.
Un altro metodo, ancora più diffuso, è lo “Skimming” (strisciata) su sportelli automatici (ATM). Esso consiste nell’applicazione da parte del criminale di uno skimmer, un dispositivo in grado di immagazzinare i dati contenuti nella banda magnetica della carta. Quando il cliente della banca digita il codice della propria carta, questo viene recuperato solitamente dai malfattori attraverso una micro telecamera nascosta o camuffata grazie all’ausilio di vari oggetti. In altri casi, invece, il codice PIN, viene recuperato dai criminali attraverso una seconda tastiera posta sopra quella originale dello sportello bancomat. Ovviamente, la banda criminale acquisisce in tal modo tutti i dati necessari a clonare e ad utilizzare la carta bancomat o la carta di credito.
Proprio per evitare che dei malfattori possano impossessarsi del PIN attraverso tastiera, molti sportelli bancomat, per fortuna, sono stati attrezzati di pin-pad sicuri.
Oltre alle minacce attuali, però, si prospettano anche delle insidie future.
Infatti, si stanno sviluppando anche delle nuove tecniche criminali legate all’informatica e volte a sfruttare gli eventuali “bug” dei sistemi operativi installati sugli sportelli automatici. Questo genere di attacchi possono essere comunque fermati grazie all'ausilio dei firewall (fonte: Dipartimento di Informatica e Applicazioni - Università di Salerno).
Mentre, secondo un'assai poco rincuorante ricerca, svolta presso l’Università di Cambridge in Gran Bretagna, sarebbe possibile, attraverso un particolare logaritmo, trovare un codice pin dopo soli quindici tentavi anziché dopo i cinquemila teoricamente necessari! (fonte: La Stampa)
Tutto ciò, mi fa pensare che le banche dovranno realizzare in futuro sistemi sempre più complessi e sofisticati al fine di garantire la nostra sicurezza.
Come possiamo difenderci da queste truffe?
Ovviamente, dobbiamo sempre guardarci attorno, diffidando anche di chi si avvicina mentre siamo allo sportello del bancomat, dobbiamo sempre controllare che non vi siano delle anomalie sulle apparecchiature dello sportello, dobbiamo sempre nascondere con l’altra mano la tastiera su cui digitiamo il codice pin, possiamo richiedere eventuali servizi di notifica via sms dei nostri movimenti (sms alert), ma, cosa più importante, dobbiamo controllare quotidianamente il nostro conto corrente.
Cosa dobbiamo fare nel caso in cui riteniamo di esser stati truffati?
Innanzitutto, dobbiamo bloccare la carta attraverso la nostra banca o rivolgendoci direttamente al numero verde del circuito bancomat, annotando la data, l'ora, il nome della persona del servizio clienti con la quale si è stati in contatto e l'eventuale codice di blocco.
Dopo aver informato la nostra banca dell’accaduto, dobbiamo ottenere, tramite questa o l’internet banking, una lista dei movimenti, che ci permetterà così di individuare l’ora, l’importo e, se possibile, il luogo in cui sono state effettuate le operazioni fraudolente. Ovviamente, la nostra carta bancomat, nonostante sia stata bloccata, continua a mantere un ruolo decisivo anche nei passaggi successivi, in quanto serve a dimostrare che non l’abbiamo smarrita e che l’abbiamo usata e conservata in modo corretto.
A questo punto, dobbiamo rivolgerci alle forze dell’ordine (polizia o carabinieri) per sporgere una denuncia penale relativa alla clonazione della nostra carta e al disconoscimento delle operazioni fraudolente, e, farci rilasciare poi una copia della denuncia stessa.
Infine, dobbiamo presentarci presso la banca con la copia della nostra denuncia e compilare i moduli necessari ad ottenere il rimborso che ci è dovuto. (fonti: La Stampa, forum Adusbef)
Riguardo quest’ultimo passaggio, in teoria dovrebbe occuparsene la nostra banca, ma, ci sono anche delle banche che richiedono che la richiesta di blocco della carta bancomat venga confermata tramite raccomandata con ricevuta di ritorno entro due giorni lavorativi, allegando ad essa una copia della denuncia.
Spero che le informazioni contenute in questo articolo siano state utili a voi perlomeno quanto lo sono state a me che le ho raccolte. Nel caso in cui vi fossero delle ulteriori puntualizzazioni da fare o vi fossero delle imprecisioni, potete lasciare un commento indicando la fonte.
31 ottobre 2008
Dopo il post "Feci sulle mani dei pendolari", in occasione della festa anglossassone di Halloween, ho in serbo per voi un'altra notizia a mio giudizio disgustosa (ovviamente gli intenditori ed i palati fini la penseranno diversamente).
In Gran Bretagna è stata ideata una miscela di caffé per essere la più costosa del mondo.
Caffé Raro, questo è il nome accattivante della costosissima miscela, è stato ottenuto mescolando due rari chicchi di caffé, il Jamaican Blue Mountain ed il Kopi Luwak.
Quest'ultimo è un caffé molto particolare, in quanto viene prima mangiato dal Musang, una sorta di gatto-scoiattolo della famiglia dei marsupiali che vive nelle piantagioni del sud-est asiatico e che pare sappia scegliere i frutti migliori del caffé, e, poi viene depositato dallo stesso animale sotto forma di escrementi.
I chicchi, digeriti e ripuliti dagli enzimi del Musang, possono essere così raccolti, lavati e tostati. (fonti: La Repubblica e BBC)
Secondo gli esperti, il gusto del Kopi Luwak risulta estremamente corposo e liquoroso, con sapore d’erbe aromatiche e confettura d’arance amare. Mentre, il suo retrogusto, denso e molto persistente, regala un’insolita essenza di rabarbaro (fonte: Mondo del Gusto).
A me, invece, che sono un barbaro "schizzinoso" dal palato rude, dalla poca immaginazione e dallo stomaco delicato, per la sola idea che dietro degli escrementi si possano celare tutti questi deliziosi sapori, viene solo il voltastomaco.
Ma, come ho scritto prima sono ignorante in materia e la mia visione limitata non va oltre l'immagine e gli odori che si possono celare dietro a degli escrementi allo stato grezzo.
La miscela "Caffé Raro" è stata messa in vendita da un grande magazzino di Londra alla "modica" cifra di 50 sterline (62 euro) a tazza e l'intero ricavato è stato devoluto alla fondazione MacMillan Cancer Support.
Mentre, il "prezioso" Kopi Luwak, dapprima apprezzato dai raffinati giapponesi, sta ottenendo ora il successo in tutto il mondo e si sta diffondendo piano piano anche in Italia.
Per scacciare gli spiriti maligni quasi quasi stanotte mi travesto da Musang!
Ah, che bellu ccafè pure 'n Inghilterra 'o sanno fà...
In Gran Bretagna è stata ideata una miscela di caffé per essere la più costosa del mondo.
Caffé Raro, questo è il nome accattivante della costosissima miscela, è stato ottenuto mescolando due rari chicchi di caffé, il Jamaican Blue Mountain ed il Kopi Luwak.
Quest'ultimo è un caffé molto particolare, in quanto viene prima mangiato dal Musang, una sorta di gatto-scoiattolo della famiglia dei marsupiali che vive nelle piantagioni del sud-est asiatico e che pare sappia scegliere i frutti migliori del caffé, e, poi viene depositato dallo stesso animale sotto forma di escrementi.
I chicchi, digeriti e ripuliti dagli enzimi del Musang, possono essere così raccolti, lavati e tostati. (fonti: La Repubblica e BBC)
Secondo gli esperti, il gusto del Kopi Luwak risulta estremamente corposo e liquoroso, con sapore d’erbe aromatiche e confettura d’arance amare. Mentre, il suo retrogusto, denso e molto persistente, regala un’insolita essenza di rabarbaro (fonte: Mondo del Gusto).
A me, invece, che sono un barbaro "schizzinoso" dal palato rude, dalla poca immaginazione e dallo stomaco delicato, per la sola idea che dietro degli escrementi si possano celare tutti questi deliziosi sapori, viene solo il voltastomaco.
Ma, come ho scritto prima sono ignorante in materia e la mia visione limitata non va oltre l'immagine e gli odori che si possono celare dietro a degli escrementi allo stato grezzo.
La miscela "Caffé Raro" è stata messa in vendita da un grande magazzino di Londra alla "modica" cifra di 50 sterline (62 euro) a tazza e l'intero ricavato è stato devoluto alla fondazione MacMillan Cancer Support.
Mentre, il "prezioso" Kopi Luwak, dapprima apprezzato dai raffinati giapponesi, sta ottenendo ora il successo in tutto il mondo e si sta diffondendo piano piano anche in Italia.
Per scacciare gli spiriti maligni quasi quasi stanotte mi travesto da Musang!
Ah, che bellu ccafè pure 'n Inghilterra 'o sanno fà...
28 ottobre 2008
Il coltan è una specie di sabbia nera leggermente radioattiva, dietro la quale si nasconde in realtà una risorsa strategica fondamentale.
Il suo vero nome è columbotantalite, mentre, il termine coltan è frutto di una contrazione in lingua congolese. Formato da due minerali, la columbite e la tantalite, esso viene impiegato per l’estrazione del tantalio, un elemento divenuto ormai indispensabile all’industria elettronica.
Inizialmente impiegato nella produzione di satelliti e di missili nucleari, il tantalio oggi è ampiamente utilizzato in ambito civile, essendo presente nei portatili, nelle console e nei telefoni cellulari. In particolare, questi ultimi devono il loro sviluppo tecnologico ed il loro ridimensionamento proprio all’impiego del tantalio.
I condensatori passivi di tantalio, infatti, sono un elemento fondamentale dei cellulari; essi fungono da accumulatori quando il cellulare viene investito da una fonte di energia, fornendo poi allo stesso cellulare parte dell’energia di cui necessita, in quanto la sola energia fornita dalla batteria non sarebbe sufficiente. (fonti: Facoltà di Ingegneria – Facoltà di Trento e RaiNews24)
Ovviamente, a seguito della sempre maggiore diffusione dei cellulari, la richiesta del coltan è notevolmente aumentata, facendo levitare negli ultimi anni il prezzo di questo materiale fino a superare il valore dell’oro.
Fin qua nulla di sconvolgente.
Ciò che è sconvolgente, invece, è che nella Repubblica Democratica del Congo, dove è presente il 60% delle riserve mondiali di coltan, si protrae da ormai dieci anni una sanguinosa guerra tra Ruanda, Congo e ribelli vari, finanziata dai proventi derivanti dal coltan, e, volta al possesso di questa e delle moltissime altre risorse (diamanti, oro, cuoio e cobalto) di cui dispone il territorio congolese.
Oltretutto, il commercio del coltan, a differenza del commercio dei diamanti, è completamente clandestino. Se il commercio dei diamanti, infatti, è regolamentato (per quanto possibile, non a caso si parla di “diamanti di sangue”) dal protocollo di Kimberley, cioè da una serie di regole precise attraverso le quali viene tracciata la provenienza delle pietre e si vieta l’utilizzo di bambini al disotto dei 16 anni nella loro estrazione, il commercio e l’estrazione del coltan invece non seguono alcuna regola.
In Congo, intere famiglie vivono e lavorano in condizioni disumane presso i giacimenti di coltan, i bambini vengono sfruttati quotidianamente in quanto si infilano con maggior facilità nelle buche da cui il minerale viene estratto, mentre, in migliaia perdono la vita o devono scappare dalla propria terra a causa della guerra civile. (fonti: Corriere della Sera, Il Sole 24ORE e secondoprotocollo.org)
E' di questa sera la notizia secondo cui i caschi blu dell’Onu sarebbero stati respinti dai guerriglieri ruandesi. La missioni dell’Onu è finita sotto accusa, in quanto, con i suoi 17000 uomini, si è rivelata “inadeguata e sotto organico” (fonte: Tg2 ore 20,30 del 28 ottobre 2008).
Secondo le stime dello stesso Onu, i profughi in questi ultimi due mesi sarebbero 250.000 (fonte: Il Giornale).
Visti i grandi interessi che ruotano attorno al coltan, è mia opinione, purtroppo, che questa guerra per le risorse non potrà concludersi mai.
Inizialmente impiegato nella produzione di satelliti e di missili nucleari, il tantalio oggi è ampiamente utilizzato in ambito civile, essendo presente nei portatili, nelle console e nei telefoni cellulari. In particolare, questi ultimi devono il loro sviluppo tecnologico ed il loro ridimensionamento proprio all’impiego del tantalio.
I condensatori passivi di tantalio, infatti, sono un elemento fondamentale dei cellulari; essi fungono da accumulatori quando il cellulare viene investito da una fonte di energia, fornendo poi allo stesso cellulare parte dell’energia di cui necessita, in quanto la sola energia fornita dalla batteria non sarebbe sufficiente. (fonti: Facoltà di Ingegneria – Facoltà di Trento e RaiNews24)
Ovviamente, a seguito della sempre maggiore diffusione dei cellulari, la richiesta del coltan è notevolmente aumentata, facendo levitare negli ultimi anni il prezzo di questo materiale fino a superare il valore dell’oro.
Fin qua nulla di sconvolgente.
Ciò che è sconvolgente, invece, è che nella Repubblica Democratica del Congo, dove è presente il 60% delle riserve mondiali di coltan, si protrae da ormai dieci anni una sanguinosa guerra tra Ruanda, Congo e ribelli vari, finanziata dai proventi derivanti dal coltan, e, volta al possesso di questa e delle moltissime altre risorse (diamanti, oro, cuoio e cobalto) di cui dispone il territorio congolese.
Oltretutto, il commercio del coltan, a differenza del commercio dei diamanti, è completamente clandestino. Se il commercio dei diamanti, infatti, è regolamentato (per quanto possibile, non a caso si parla di “diamanti di sangue”) dal protocollo di Kimberley, cioè da una serie di regole precise attraverso le quali viene tracciata la provenienza delle pietre e si vieta l’utilizzo di bambini al disotto dei 16 anni nella loro estrazione, il commercio e l’estrazione del coltan invece non seguono alcuna regola.
In Congo, intere famiglie vivono e lavorano in condizioni disumane presso i giacimenti di coltan, i bambini vengono sfruttati quotidianamente in quanto si infilano con maggior facilità nelle buche da cui il minerale viene estratto, mentre, in migliaia perdono la vita o devono scappare dalla propria terra a causa della guerra civile. (fonti: Corriere della Sera, Il Sole 24ORE e secondoprotocollo.org)
E' di questa sera la notizia secondo cui i caschi blu dell’Onu sarebbero stati respinti dai guerriglieri ruandesi. La missioni dell’Onu è finita sotto accusa, in quanto, con i suoi 17000 uomini, si è rivelata “inadeguata e sotto organico” (fonte: Tg2 ore 20,30 del 28 ottobre 2008).
Secondo le stime dello stesso Onu, i profughi in questi ultimi due mesi sarebbero 250.000 (fonte: Il Giornale).
Visti i grandi interessi che ruotano attorno al coltan, è mia opinione, purtroppo, che questa guerra per le risorse non potrà concludersi mai.
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